CRONACA E ATTUALITÀESTERO

Il campanello d’allarme degli scaffali vuoti negli Usa

Reuters ha diffuso un video per mostrare gli scaffali vuoti di un supermercato Usa. Il che ha qualcosa da dire anche sull’Ue.

Se l’account twitter ufficiale di Reuters decide di pubblicare un breve video per mostrare gli scaffali vuoti di un supermercato americano significa che il problema è già visibile oppure che diventerà un argomento di discussione nelle prossime settimane. Gli scaffali vuoti sono apparsi per la prima volta nella prima metà del 2020 quando i cittadini costretti in casa dai lockdown e spaventati dal contagio hanno deciso di “fare scorte” comprando più di quanto avrebbero fatto normalmente e mandando in crisi i supermercati. Dopo due anni dall’inizio della pandemia i lockdown sono pressoché scomparsi e i Governi di moltissimi Paesi occidentali non hanno alcuna intenzione di riproporli. Bisogna almeno prendere in considerazione l’ipotesi che il fenomeno sia un campanello d’allarme di problemi strutturali.

Il fenomeno è visibile negli Stati Uniti perché le catene di fornitura in un Paese che ha quattro fusi orari ed è grande come un continente sono estremamente efficienti e ogni problema compare sugli scaffali velocemente. Ci sono due fattori che incidono sugli “scaffali vuoti”. Il primo sono le ondate di Covid che o per timore di contagio o per l’imposizione di restrizioni determinano vuoti di domanda. È il caso, per fare un esempio, del calo di consumo di carne che si è registrato in Italia nel 2020 con il crollo del turismo e delle presenze nei ristoranti. Gestire tali vuoti d’aria per un’industria che ha a che fare con animali vivi, limiti fisici sia nella conservazione che nel trasporto delle merci che possono avvenire solo con mezzi dedicati è estremamente complesso se non impossibile. La produzione viene immediatamente diretta dove può essere assorbita lasciando scoperte alcune aree, i mezzi dedicati e refrigerati vengono dirottati su altre produzioni e così via. I produttori non possono gestire le eccedenze per i limiti fisici “della produzione”, dei congelatori e così via. Il risultato è da un lato la difficoltà ad approvvigionare regolarmente i supermercati e dall’altro la riprogrammazione a monte della produzione su valori strutturalmente più bassi e sicuramente vendibili pena perdite non affrontabili.

Questo secondo tema riguarda la grandissima parte della produzione; l’industria della carne è solo un esempio. L’incertezza sui consumi e le vendite costringe tutti a produrre di meno. Lo stesso discorso vale, anche se in misura minore, per la produzione che viene fermata o rallentata perché un certo numero di lavoratori è a casa in quarantena o nel caso della Cina intere regioni. Manca il componente “x” che però ferma tutta la catena che lavora a singhiozzo.

Il secondo fattore è la rottura delle catene di fornitura globali perché la guerra commerciale, per ora solo quella, incentiva a incrementare la sicurezza degli Stati su alcune produzioni, alimentari e non solo. Nessuno Stato si vuole trovare nella condizione di subire un blocco delle esportazioni di un certo prodotto, fondamentale per quel settore strategico, senza avere un’alternativa. Non avere un’alternativa vuol dire essere costretti a subire i ricatti o le sanzioni degli Stati “concorrenti”. Questo è vero per il cibo innanzitutto, per l’acqua, l’energia e gli armamenti. Per almeno due decenni fino alla metà degli anni 2010 il mondo invece è girato su catene di fornitura lunghe o lunghissime e su rapporti commerciali oliati e non problematici; un mondo estremamente efficiente ma anche fragile. Lo vediamo, in questi giorni, con le forniture di gas all’Europa che per vivere ha bisogno di venire a patti con qualcuno. L’inasprimento del conflitto tra Stati Uniti/Nato e Cina/Russia dall’altro, con i rispettivi alleati, pone tensioni sulle catene di fornitura globale che non sono “transitorie” ma strutturali.

È per questo che “l’inflazione” non è solo il prodotto delle politiche delle banche centrali che hanno certamente creato bolle, l’immobiliare su tutte, che pesano sulle tasche delle famiglie. Le organizzazioni o gli Stati che si rifiutano di prendere in considerazione questi elementi si ritrovano inevitabilmente in una situazione di fragilità “strutturale”. L’Unione europea è un oggetto che non può sopravvivere nel nuovo ordine senza trasformazioni radicali. Se non cambia alla velocità della luce per i singoli Stati che sono più attrezzati la tentazione di fare da soli diventerà irresistibile.

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