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Gli 80 anni di Pollini «I pianisti invecchiano ma grazie alla musica il tempo si ferma»

Una carriera costellata di interpretazioni memorabili A 16 anni il debutto alla Scala dove tornerà a marzo

MILANO. Oggi Maurizio Pollini compie 80 anni. Il Teatro alla Scala, dove il 28 marzo terrà il 150° concerto, gli rivolge un saluto corale, affettuoso e pieno di gratitudine, che interpreta il sentimento di tutti gli ascoltatori e gli appassionati di musica di tutto il mondo.

«Ho un ricordo speciale che mi lega a Pollini – racconta il sovrintendente della Scala, Dominique Meyer – Quando ero ragazzo facevo la coda per ascoltare i concerti in galleria. Agli Champs-Elysées l’ingresso costava solo 5 franchi. Una sera ero in fila quando sono arrivati su una due cavalli Abbado e Pollini con la moglie Marilisa, che ci ha visto e ci ha fatto entrare con loro. Da allora ho sentito Pollini un’infinità di volte in ogni repertorio, ma porto sempre con me il ricordo di quel gesto gentile». Il concerto del 28 marzo per il ciclo “Grandi pianisti alla Scala” (apertura delle vendite il 3 febbraio) sarà la 150ª presenza di Maurizio Pollini nelle stagioni del Piermarini. In programma Arabeske op. 18 e la Fantasia op. 17 di Robert Schumann e la Mazurka n. 3 op. 56, la Barcarolle op. 60, la Ballata n. 4 op. 52 e lo Scherzo n. 1 op. 20 di Fryderyk Chopin.

Nato a Milano nel 1942, figlio dell’architetto Gino e di Renata Melotti, sorella dello scultore Fausto, Pollini studia con Carlo Lonati e Carlo Vidusso e mostra insieme un talento precocissimo e una non comune capacità di collocare la musica nel panorama più ampio delle arti, del pensiero, della vita civile. Il debutto al Piermarini avviene a 16 anni, nel 1958, con la prima esecuzione assoluta della Fantasia per pianoforte e strumenti a corda di Giorgio Federico Ghedini, diretta da Thomas Schippers. Due anni più tardi la vittoria al Premio Chopin di Varsavia e l’apprezzamento di Arthur Rubinstein lo consacrano tra le più brillanti speranze del mondo musicale: Pollini torna anche alla Scala con Celibidache e il Primo Concerto di Chopin, ma i passi della carriera vengono saggiamente bilanciati dal tempo dedicato al perfezionamento.

Al Piermarini torna nel 1964 per il concerto di Schumann diretto da Sanzogno, e poi nell’autunno del 1969 con il Terzo Concerto di Prokofev diretto da Abbado, che aveva da poco assunto trentacinquenne la guida musicale del Teatro. Con il direttore milanese, più anziano di lui di nove anni, Pollini instaura un rapporto artistico, culturale e politico destinato a rinnovare il ruolo di Milano tra le capitali musicali europee. Rilettura del grande repertorio, apertura alla musica contemporanea, coinvolgimento di nuove fasce di pubblico sono le direttrici lungo le quali Abbado e Pollini sviluppano percorsi autonomi ma con importanti tratti comuni.

Pollini studia e ripercorre per tutta la vita le Sonate di Beethoven (l’ultima incisione delle ultime tre per DG è del 2020), propone una rivoluzionaria lettura antisentimentale e antidecorativa di Chopin, offre un Debussy inedito per precisione tecnica e approccio interpretativo, si fa paladino delle Sonate di Schubert e delle pagine pianistiche di Schönberg e Webern e realizza letture indimenticabili di Bartók, Schumann e Brahms. Ma per lui non esiste discontinuità tra il repertorio e la nuova musica: con la stessa profondità, naturalezza e convinzione esegue la musica dell’amico Luigi Nono (che gli dedica Sofferte onde serene), i Klavierstücke di Stockhausen e pagine di Boulez, Manzoni o Sciarrino.

Il suo percorso scaligero, che include concerti in altri luoghi della città, dal Conservatorio alle fabbriche e diverse tournée, prosegue con nuove collaborazioni con Riccardo Muti, Pierre Boulez, Daniel Barenboim e Riccardo Chailly, sia con la Filarmonica sia con il Gewandhaus. Nel mondo Pollini ha suonato in tutte le più importanti sale da concerto e nei festival di maggior richiamo, insieme alle più celebri orchestre e i più grandi direttori.

Ora che festeggia gli 80 anni, ammette, come ha dichiarato recentemente, di sentire una certa fatica. «I pianisti invecchiano, certo, ma dalla loro hanno un ottimo antidoto, la musica – dice Pollini – Suonare ogni giorno per ore e ore fa meglio dell’andare in palestra: tiene sveglio il cervello, agili le mani. Alla tastiera passano i dolori, si dimenticano gli anni. Soli, immersi nella musica, il tempo si ferma. A volte persino va indietro e si torna giovani».

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