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Guida alle comunità energetiche rinnovabili

Cosa sono, come funzionano e l’inquadramento legislativo. Facciamo il punto sulle comunità energetiche

Negli ultimi anni il mondo dell’energia è stato innervato da una profonda trasformazione, che sta cambiando il modo di intendere sia il consumo sia la produzione. Sempre più spesso si è parlato di comunità energetiche rinnovabili, ancor più a partire dalla fine del 2018, quando l’Unione Europea ha promulgato la Direttiva UE 2018/2001 RED II, recepita in più riprese dal nostro ordinamento. A partire dal 2022 le comunità energetiche rinnovabili basate sulla generazione distribuita di energia da fotovoltaico sono in fase di costituzione in tutta Italia, con molti forme e progetti. 

Cosa sono le comunità energetiche

L’unione fa la forza: è uno dei proverbi più conosciuti, che calza a pennello al mondo delle comunità energetiche rinnovabili. Solitamente si basano (1) sull’unione di più prosumer, cioè produttori-autoconsumatori di energia che, proprio all’interno delle comunità energetiche rinnovabili, trovano il modo più efficace per impiegare l’energia elettrica non autoconsumata. La nascita della comunità energetica, quindi, è strettamente collegata a quella del prosumer: in entrambi i casi sarà centrale l’autoproduzione di energia e l’autoconsumo come soddisfacimento del proprio fabbisogno energetico. 

La comunità energetica, però, conformandosi come rete virtuale tra più unità produttive e di consumo, che siano case private, aziende, edifici pubblici o condomini, localizza il fabbisogno in una dimensione geografica ben definita e abilita l’armonizzazione dei consumi con la produzione. In questo modo diventa possibile, oltre a ottimizzare l’autoconsumo, anche utilizzare l’energia non autoconsumata e ceduta alla rete, per i consumi degli altri partecipanti alla comunità (energia condivisa).

Attualmente sono due i modelli di comunità energetica possibili. Da una parte i gruppi di autoconsumo collettivo (AC), per esempio un condominio che condivide un impianto fotovoltaico: un esempio interessante viene da Napoli con il progetto di autoconsumo collettivo in condominio firmato da Evolvere in risposta a un bando di RSE (Ricerca sul sistema energetico). Dall’altra una comunità energetica rinnovabile (REC), ossia una libera associazione di consumer e prosumer a livello della stessa cabina elettrica. 

La comunità energetica rinnovabile (REC) è stata definita e sdoganata ufficialmente con il recepimento della Direttiva RED II (Direttiva UE 2018/2001) che le ha introdotte. I caratteri principali delle “comunità di energia rinnovabile” sono anzitutto l’essere un soggetto giuridico che si basa sulla partecipazione “aperta e volontaria”, che è “autonomo” ma soggiace a una vicinanza dei membri agli impianti di produzione. Inoltre “gli azionisti o membri sono persone fisiche, PMI o autorità locali, comprese le amministrazioni comunali” e l’obiettivo principale è “fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai suoi azionisti o membri o alle aree locali in cui opera”.
In questa visione, il principio di autoconsumo viene espanso in un concetto più ampio: quello di energia condivisa. Non è più necessario, infatti, consumare l’energia nello stesso punto in cui si è stata prodotta, ma questa può essere condivisa con chi è in prossimità della produzione e per questa azione è prevista un’incentivazione.

C’è poi un terzo modello di comunità energetica, molto più estesa geograficamente, non strettamente legata alle energie rinnovabili, che può abbracciare intere città: si tratta della cosiddetta comunità energetica dei cittadini (CEC) già prevista dalla Direttiva sul mercato interno dell’energia elettrica (Direttiva UE 2019/944).  La CEC, a differenza della CER, non prevede i principi di autonomia e prossimità e può gestire solo l’elettricità, prodotta sia da fonte rinnovabile, sia fossile.

I vantaggi delle comunità energetiche rinnovabili (CER)

Creare una comunità energetica è un vantaggio per tutti. Tanto per il privato cittadino, che ottiene un sostegno economico diretto per l’energia prodotta e scambiata in rete, quanto per le piccole medie imprese, che invece possono aumentare il dimensionamento del proprio impianto fotovoltaico. “Fino a oggi le PMI hanno realizzato l’impianto fotovoltaico completamente dimensionato sull’autoconsumo, ma con le REC possono sfruttare tutte le superfici utili ed aumentare la potenza installata per cedere energia alla CER ” spiega Roberto Gatti, Head of Innovation di Plenitude + Evolvere. “Le pubbliche amministrazioni invece hanno un ulteriore vantaggio, potendo sfruttare la loro presenza territoriale per fungere da aggregatori sociali per mettere insieme comunità, senza dimenticare che le CER sono uno strumento utile per combattere la povertà energetica“. Un tema, quest’ultimo, che è stato a lungo oggetto di dibattito proprio per la sua ricaduta sulla società grazie alla capacità di innescare vere e proprie forme di sharing economy.   

Lo scenario che si presenta con la diffusione delle comunità energetiche rinnovabili avrà effetti molto positivi sul territorio. “Dal punto di vista ambientale è evidente: quando quartieri o intere città cominceranno a dotarsi di energia completamente rinnovabile e pulita, il beneficio sarà lampante. Ma c’è anche un beneficio indiretto, poiché vedremo lo sviluppo di nuove economie locali: pensiamo alla mobilità, per esempio“.

I passi per la comunità energetica

Come si sviluppa una comunità energetica? Possiamo sintetizzarlo in tre passaggi.

  • avvio: questa fase prevede la progettazione e costituzione della REC secondo gli adempimenti previsti dal GSE e termina con l’installazione degli impianti
  • gestione: da una parte c’è la manutenzione degli impianti; dall’altra la gestione amministrativa e controllo economico sulla redistribuzione dell’incentivo alla comunità
  • ottimizzazione: a partire dalla massimizzazione dell’energia condivisa, ad eventuali sistemi di storage, fino all’istituzione di sistemi di load management per la redistribuzione e l’uso intelligente dei carichi. “In questa fase occorre insistere sull’educazione comportamentale. L’approccio alla comunità energetica deve sottintendere un cambio culturale di mentalità: i partecipanti alla CER devono attivare una serie di comportamenti virtuosi per la gestione razionale dell’energia, e non solo per un vantaggio economico“.

La storia delle comunità energetiche rinnovabili

La filosofia introdotta dalla RED II di comunità energetiche rinnovabili come strumento per garantire un benessere condiviso è la stessa che troviamo in molti degli esempi nati in ordine sparso in Italia e non solo, ben prima di trovare una definizione legale a livello comunitario. Si trattava spesso di aggregazioni di tipo cooperativo, sorte in comunità locali o di montagna, per garantire l’apporto energetico a un’area ben definita come accaduto per la FUNES in Alto Adige (anno 1920) o la EWERK PRAD, Cooperativa di Prato allo Stelvio o la COOPERATIVA ELETTRICA GIGNOD di Saint Christophe, in Valle d’Aosta. 

L’approccio alla comunità energetica deve sottintendere un cambio culturale di mentalità Roberto Gatti, Head of Innovation di Evolvere

Una storia che per certi versi le accomuna alle realtà legate a piccole società di distribuzione che hanno resistito alla nazionalizzazione delle reti (ad esempio il Comune di Berchidda in Sardegna), i consorzi di autoproduzione degli anni Novanta e le reti private (ad esempio le RIU) nate all’interno di grandi insediamenti produttivi.

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Oltre a questi esempi, soprattutto in anni recenti, si è registrato l’intervento dell’Europa che si è mossa con progetti sperimentali come l’Horizon 2020 ZERO-PLUS, partito nel 2015, che aveva l’obiettivo di dare forma a quartieri a basso impatto ambientale dotati di tecnologie energetiche d’avanguardia.

L’approccio alla comunità energetica deve sottintendere un cambio culturale di mentalità Roberto Gatti Head of Innovation di Evolvere

Dal punto di vista legislativo, gli interventi più importanti si sono registrati molto recentemente: in Spagna, ad esempio, dove alla fine del 2018 è stata varata una normativa per consentire la condivisione di energia prodotta da un solo impianto, collegando più utenti in autoconsumo collettivo. Questa ha preceduto di qualche mese la Direttiva europea RED II, che nell’arco del triennio seguente è stata recepita all’interno degli ordinamenti nazionali dei vari Stati membri.

Comunità energetiche in Italia

L’Italia ha recepito la Direttiva europea in più riprese, a partire dall’emendamento al Decreto Milleproroghe, convertito nella legge 8 del 28 febbraio 2020. Questa consente la costituzione di comunità energetiche rinnovabili per l’autoconsumo tra prosumer – privati o aziende PMI o enti locali – che risiedono in unità separate, per impianti di potenza complessiva non superiore a 200 kW (oggi 1 MW). L’energia, anche immagazzinata nei sistemi di accumulo, può essere condivisa utilizzando la rete esistente attraverso un’unica cabina secondaria MT/bt (oggi primaria).

La condivisione in condomino, per cui la legge parla di autoconsumo collettivo e non propriamente di comunità energetica rinnovabile, riguarda anche le singole abitazioni che lo compongono e non solo le parti comuni e il condominio viene trattato come un unico soggetto. Inoltre, con il decreto firmato dall’allora Ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli, il 15 settembre 2020 è stata fissata la tariffa incentivante per l’autoconsumo elettrico collettivo, alternativa agli incentivi attualmente previsti e/o al meccanismo dello scambio sul posto, che per la prima volta promuove l’utilizzo dello storage. Le regole tecniche per accedervi sono state quindi fissate in un documento del GSE pubblicato il 22 dicembre, contestualmente alla guida per l’invio delle istanze preliminari di accesso tramite l’apposito portale. 

Il Decreto Legislativo n. 199 del 8 novembre 2021 porta a termine il recepimento della  direttiva (UE) 2018/2001 (RED II). Le novità principali sono per l’appunto l’aumento del limite di potenza degli impianti a 1 MW dai 200 kW iniziali e l’ampliamento dell’orizzonte geografico stabilendo la possibilità per i membri della CER di connettersi alla cabina primaria. Da segnalare anche due altri importanti interventi: il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), approvato il 13 luglio 2021 che ha destinato oltre 2 miliardi di euro allo sviluppo delle Comunità energetiche riconoscendo il valore di strumento privilegiato per aumentare la produzione complessiva di energia rinnovabile. Un orientamento confermato anche dal piano Repower Eu, licenziato dalla Commissione Europea il 18 maggio 2022, che ha previsto il Power purchase agreement (Ppa) anche per le comunità energetiche rinnovabili.  

Il futuro delle comunità energetiche

Nelle comunità energetiche ogni partecipante, utilizzando una tecnologia semplice e accessibile, potrà quindi decidere come impiegare al meglio la propria energia, massimizzando così anche il vantaggio economico. L’orizzonte che si prospetta, però, è ancora più ampio, un’evoluzione della sharing economy dove l’accesso a un servizio diventa prioritario rispetto al possesso di un bene. Le batterie di casa come quelle dell’auto elettrica, in un giorno non troppo lontano, potrebbero servire per stoccare e scambiare l’energia in eccesso e, contemporaneamente, offrire servizi alla rete.

In ogni sua declinazione, la Comunità energetica rappresenta un modello virtuoso, verso un’energia condivisa, intelligente e democratica che grazie alla grande esperienza accumulata sul campo e alla continua spinta verso l’innovazione, vogliamo promuovere e sviluppare con i nostri clienti e gli stakeholder.
La rivoluzione è davvero iniziata: adesso tocca a tutti noi farne parte.

Note

(1) Ci possono, poi, essere modelli leggermente diversi in base agli ordinamenti nazionali (ad esempio in Italia la legge 8 del 2020 ammette all’interno della comunità energetica anche solo un impianto per la produzione rinnovabile, con un limite legato alla potenza) o altri requisiti imposti dai policy maker locali (ad esempio dalle Regioni in Italia).