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“Uso ininterrotto di pesticidi sulle mele dell’Alto Adige”: il dossier dell’Istituto tedesco. I dati? Avuti grazie alla querela della Provincia.

Lo studio dell’Umweltinstitut München relativo al 2017: “Impiego di principi attivi estremamente pericolosi e l’esposizione multipla. Ogni meleto trattato in media 38 volte in un anno”. La banca dati che hanno avuto a disposizione è l’effetto boomerang della querela per diffamazione (finita con un’assoluzione) presentata dall’assessore Schuler e dagli operatori del settore. Che ora replicano: “Studio fatto per metterci in cattiva luce, il 90% degli insetticidi utilizzati è biologico”

Non si trattava di un teorema degli ambientalisti o di un semplice sospetto. Nella produzione di mele in Alto Adige l’utilizzo dei pesticidi è stato, almeno nel 2017, “ininterrotto per svariati mesi”, pure con “esposizione multipla” di diversi prodotti. Una mela avvelenata è l’eredità – sotto forma di dossier e finora inedita – lasciata dal processo che si è concluso lo scorso anno a Bolzano con l’assoluzione di Karl Bär, all’epoca referente per l’agricoltura dell’Istituto ambientale di Monaco di Baviera (Umweltinstitut München). Era accusato di diffamazione ai danni dell’agricoltura altoatesina a seguito delle querele presentate dall’assessore provinciale Arnold Schuler e da un migliaio di operatori del settore. La Procura di Bolzano aveva fatto sequestrare i dati di utilizzo dei pesticidi degli agricoltori querelanti, ovvero dei libretti che ogni azienda è tenuta ad aggiornare con l’indicazione dei prodotti e delle quantità applicate ai meleti. In quanto prove, erano entrate nella disponibilità della difesa e hanno provocato un formidabile effetto boomerang.

È una banca dati dal valore unico, visto che a livello europeo non esiste trasparenza sull’uso dei pesticidi. L’Umweltinstitut ha analizzato i libretti di 681 aziende frutticole della Val Venosta, che operano su 3.124 ettari, più della metà degli oltre 5mila ettari destinati a meleti. L’Alto Adige è la più grande regione frutticola contigua d’Europa, visto che i meleti si estendono su circa 18 mila ettari, con una produzione che nel 2021 è stata di circa 935mila tonnellate. Il dossier è composto di 97 pagine. “I dati dimostrano l’impiego di principi attivi estremamente pericolosi, l’ininterrotto utilizzo di pesticidi per svariati mesi e l’esposizione multipla a più pesticidi, il cosiddetto effetto cocktail”, concludono i ricercatori. Un esempio? “Dall’inizio di marzo alla fine di settembre, in Val Venosta, non vi è stato un solo giorno di arresto alle irrorazioni. Nella stagione di coltivazione 2017 ogni meleto è stato trattato con principi attivi provenienti da chimica di sintesi in media 38 volte”. Affermazioni contestate dai produttori altoatesini e dall’assessore all’agricoltura della Provincia di Bolzano, Arnold Schuler, che a ilfattoquotidiano.it spiega: “Questo è un tipico esempio di come si può comunicare per mettere in cattiva luce l’industria frutticola altoatesina. La quantità è relativa, perché ciò che conta è quali prodotti vengono utilizzati”.

Etofenprox “usato con maggior frequenza” – Secondo i ricercatori, su un totale di 83 principi attivi utilizzati, 17 erano già presenti nell’elenco ufficiale dei candidati alla sostituzione dell’UE nel 2017. “In Val Venosta hanno rappresentato il 13 per cento di tutte le applicazioni fitosanitarie. L’Etofenprox rientra tra le sostanze applicate con maggior frequenza ed è stata utilizzata dall’89 per cento delle aziende. L’Etofenprox è pericoloso, tra gli altri, per gli organismi acquatici, le api da miele e gli insetti utili. Il neonicotinoide Thiacloprid è stato utilizzato dal 65 per cento delle aziende, nonostante sia potenzialmente tossico per la riproduzione e verosimilmente possa provocare il cancro; infatti l’uso di questo principio attivo non è più consentito dalla UE”. Gli agricoltori hanno giustificato l’uso per combattere due malattie fungine: ticchiolatura del melo e oidio. “Questa infestazione – è scritto nella ricerca – potrebbe essere regolata coltivando altre varietà di mele resistenti al fungo”.