CRISI UCRAINAESTERO

Soldi sporchi e corruzione: l’incubo di Biden si chiama Burisma

6 milioni di dollari per tentare di fermare le indagini sulla compagnia di gas ucraina per la quale lavorava Hunter Biden, figlio del candidato alle elezioni presidenziali per i democratici Joe Biden. Come riporta Fox News, infatti, nei giorni scorsi le autorità di Kiev hanno intercettato un tentativo di corruzione mirato a bloccare l’indagine criminale su Burisma, la società di gas naturale al centro delle indagini sull’impeachment del Presidente Donald Trump. Durante una conferenza stampa, i funzionari hanno mostrato i sacchi contenenti i milioni di dollari sequestrati. Il procuratore ucraino anti-corruzione Nazar Kholodnitsky ha dichiarato che il figlio dell’ex vicepresidente Joe Biden, Hunter, che un tempo aveva ricoperto un posto di consiglio d’amministrazione, non risulterebbe complice nell’atto criminale.

In una nota stampa, Burisma ha sottolineato di essere estranea al tentativo di corruzione. “Né il presidente del gruppo Mykola Zlochevsky né altri dipendenti dell’azienda hanno qualcosa a che fare con la vicenda”, ha sottolineato la società. “Mykola Zlochevsky non ha chiesto a nessuno di commettere azioni di questo tipo e non ha mai contribuito a tali azioni”. Perché la società ha a che fare con i Biden? Hunter Biden è entrato a far parte del consiglio di amministrazione di Burisma nel 2014, quando suo padre era ancora vicepresidente degli Stati Uniti e figura principale nelle relazioni di Washington con l’Ucraina. Ha lasciato la posizione nel 2018. Lo scorso anno, i democratici hanno accusato Donald Trump di aver fatto pressioni sul presidente ucraino Volodymyr Zelenskiy per indagare sui Biden, in una telefonata risalente alla scorsa estate che ha poi dato vita al processo di impeachment, conclusosi infine con l’assoluzione al Senato del Presidente Trump.

I Biden e l’affaire Burisma

Per capire il ruolo di Joe Biden e del figlio Hunter occorre fare un passo indietro. Come ricorda il giornalista investigativo Max Blumenthal su Grayzone, l’allora vicepresidente di Obama fece la sua prima visita a Kiev nell’aprile 2014, proprio quando il governo post-Maidan stava lanciando la sua operazione militare contro i separatisti russi nel Donbass. Rivolgendosi al parlamento di Kiev, Biden dichiarò che “la corruzione non potrà più avere spazio nella nuova Ucraina”, sottolineando che gli Stati Uniti “sono la forza trainante dietro il Fmi” e stavano lavorando per assicurare a Kiev “un pacchetto multimiliardario per aiutare” il governo. Nello stesso periodo, Hunter Biden venne nominato nel consiglio di amministrazione di Burisma.

La cacciata del presidente Viktor Yanukovych (febbraio 2014) pose il fondatore e presidente di Burisma, l’oligarca Mykola Zlochevsky, in una posizione delicata. Quest’ultimo era stato ministro dell’ambiente di Yanukovych, e il cambio di regime lo mise in difficoltà. Anche perché stava affrontando dei seri problemi legali: un’inchiesta sulla corruzione nel regno Unito aveva portato al congelamento di parte del suo patrimonio, pari a 23 milioni di dollari. L’oligarca aveva a necessità di farsi dei nuovi amici: si trattava di Hunter Biden, figlio del vicepresidente degli Stati Uniti, e dell’Atlantic Council.

Il figlio di Joe Biden aveva già ottenuto un incarico presso il National Democratic Institute (Ned), un’organizzazione di “promozione della democrazia” finanziata dagli Stati Uniti che ha contribuito a rovesciare il governo filo-russo di Yanukovich insieme all’Open Society del finanziere George Soros. Hunter venne così arruolato in una posizione di grande prestigio in Burisma, a 50 mila dollari al mese, nonostante la sua totale mancanza di esperienza nel settore energetico e negli affari ucraini. Hunter Biden lo ripagò contattando un importante studio legale di Washington, Dc, Boies, Schiller e Flexner, dove aveva lavorato come consulente. Nel gennaio successivo, i beni dell’oligarca vennero scongelati nel Regno Unito. Nella primavera del 2014, l’Associated Press e persino il New York Times, sollevarono perplessità sul ruolo di Hunter Biden nella compagnia ucraina, nonostante Joe Biden assicurasse di non saperne nulla.

Quel ricatto a Poroshenko

Nel maggio del 2016, Joe Biden in qualità di uomo di punta designato da Barack Obama per l’Ucraina, volò a Kiev per informare Poroshenko che la garanzia di un prestito ammontante a ben un miliardo di dollari americani era stata approvata per permettere a Kiev di fronteggiare i debiti. Ma si trattava di un aiuto “condizionato”.

Se Poroshenko non avesse licenziato il procuratore capo nello stretto giro di sei ore, Biden sarebbe tornato negli Usa e l’Ucraina non avrebbe più avuto alcuna garanzia di prestito. L’Ucraina, in quell’occasione, capitolò senza alcuna resistenza. Il procuratore stava indagando proprio sugli affari della Burisma Holdings, compagnia che aveva collocato nel proprio board operativo il figlio del vicepresidente. Lo stesso Biden si vantò di aver minacciato nel marzo 2016 l’allora presidente ucraino Poroshenko di ritirare un miliardo di dollari in prestiti se quest’ultimo non avesse licenziato il procuratore generale Viktor Shokin che, a quanto pare, stava indagando proprio su suo figlio Hunter. E ora Lindsey Graham vuole fare chiarezza su una vicenda a dir poco torbida.

Gli ultimi sviluppi

Lo scorso 20 maggio, come riferisce il New York Post, al Senato la commissione per la sicurezza nazionale è stata autorizzata a citare in giudizio le persone coinvolte nell’indagine sulla posizione di Hunter Biden presso Burisma. Ron Johnson, presidente della commissione, ora potrà citare in giudizio Blue Star Strategies, la società di pubbliche relazioni vicina ai dem che Burisma ha ingaggiato mentre Biden era seduto nel consiglio d’amministrazione. L’indagine ha lo scopo di esaminare se Biden e Blue Star Strategies abbiano beneficiato del padre dell’allora vicepresidente Joe Biden, che all’epoca era responsabile della politica americana nei confronti dell’Ucraina. Nelle scorse settimane, i media progressisti hanno dato ampio risalto alle dichiarazioni dell’ex procuratore ucraino Ruslan Ryaboshapka (rimosso dall’incarico lo scorso marzo, con l’accusa di non essere stato abbastanza solerte) il quale ha dichiarato alla Reuters che a suo dire non esiste nessuna prova di nessun illecito da parte di Hunter Biden. Ma la strada verso la verità è ancora molto lunga…

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