CRONACA E ATTUALITÀITALIA

La Cassazione dice NO al cognome paterno in assenza di una relazione affettiva con i figli

Con l’ordinanza n. 4315 del 2 novembre 2023, la Corte di Cassazione ha stabilito che il padre, il quale non abbia ancora costruito un rapporto affettivo con la figlia, riconosciuta in un secondo momento, non possa aggiungere il proprio cognome a quello della madre.

Un uomo ricorre in Cassazione al fine di ottenere la riforma della sentenza della Corte di Appello di Trieste al fine di poter dare il cognome alla figlia. Secondo quanto sostenuto dal genitore, difatti, l’assunzione del cognome avrebbe rafforzato nella fanciulla la consapevolezza del rapporto filiale, facilitando una relazione affettiva. Peraltro, l’uomo lamentava che la madre presenziasse agli incontri assistiti in spazio neutro, determinando un ostacolo all’instaurarsi del rapporto. Infine, il padre riteneva che l’aggiunta del proprio cognome avrebbe rafforzato l’identità della minore e sarebbe stata prodromica alla futura bigenitorialità.

Di avviso contrario la Cassazione, la quale, nell’esame del singolo caso, ha dato rilievo all’esclusivo interesse della figlia ed alla sua volontà, poiché ella, come si ricavava dalla relazione del Servizio Sociale, aveva opposto il proprio dissenso. La Suprema Corte, nel bilanciare i due contrapposti principi, quello secondo cui il cognome contribuisca all’identità di un soggetto e quello che tenga, invece, conto del volere e dell’interesse del minore, da valutarsi caso per caso, ha deciso quale fosse prevalente nel caso di specie.

La Suprema Corte ribadisce che sia consentita l’attribuzione del cognome del secondo genitore a condizione che gli effetti abbiano un risvolto positivo sotto il profilo psicologico, fisico, educativo e non arrechino un danno o per cattiva reputazione del genitore o poiché l’identità del figlio sia già consolidata con l’utilizzo del cognome del primo genitore.

Tuttavia, nel caso de quo, considerato che il percorso di avvicinamento alla figura paterna, attuato attraverso l’intervento del Servizio Sociale, fosse ancora in itinere e che la figlia avesse rifiutato la proposta del genitore, ha ritenuto di rispettare la sua volontà, evidenziando che la stessa richiesta paterna avesse generato un disagio anche connesso ad una relazione filiale non ancora strutturatasi.

L’ordinanza conferma l’orientamento già espresso dalla Corte nelle sentenze n. 772/2020 e 8762/2023 e conferma, in via indiretta, il principio che, nelle questioni in cui sia coinvolto un minore, ogni valutazione deve essere rimessa all’esame del singolo caso, dovendosi ad opera del Giudice individuare, nella comparazione di due interessi contrapposti, quale sia maggiormente rilevante per il benessere del soggetto, la cui volontà assume sempre più centralità nell’ambito giudiziale.

L’ascolto del minore costituisce, difatti, un aspetto fondamentale in tutte le questioni e procedure che lo riguardano, in attuazione dell’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo. Invero, anche alla luce dell’art. 8 CEDU, costituisce necessario corollario del diritto del minore a essere ascoltato, la regola secondo la quale l’autorità’ giudiziaria, chiamata a pronunciarsi su decisioni che lo riguardano, debba esaminare in maniera dettagliata e analitica le dichiarazioni rese, in sede di ascolto, dal minore dotato di capacità’ di discernimento, come stabilito anche nella recente ordinanza dell’8 giugno 2023 n. 15710 della Corte di Cassazione

Vi è da sottolineare che la materia è in continua evoluzione anche rispetto ad ulteriore profilo tanto che dal periodo precedente alla legge di riforma del diritto di famiglia 19 maggio 1975 n. 151, in cui il riconoscimento effettuato dal padre comportava automaticamente l’acquisto del suo cognome da parte del figlio anche riconosciuto tardivamente, si è giunti a che tale automatismo figlio si verifichi solo allorché vi sia stato un contemporaneo riconoscimento da parte di entrambi i genitori almeno sino alla sentenza 27 aprile – 31 maggio 2022, n. 131 della Corte Costituzionale che ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 262, primo comma, del codice civile, nella parte in cui prevede, con riguardo all’ipotesi del riconoscimento effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori, che il figlio assume il cognome del padre, anziché prevedere che il figlio assume i cognomi dei genitori, nell’ordine dai medesimi concordato, fatto salvo l’accordo, al momento del riconoscimento, per attribuire il cognome di uno di loro soltanto”.

La Corte Costituzionale, lo si rammenta, ha espresso il condivisibile principio, frutto del mutamento culturale in atto, secondo cui il cognome “collega l’individuo alla formazione sociale che lo accoglie tramite lo status filiationis, si radica nella sua identità familiare e perciò deve rispecchiare e rispettare l’eguaglianza e la pari dignità dei genitori. In forza della dichiarazione di illegittimità costituzionale, la Corte ha stabilito che il cognome del figlio “deve comporsi con i cognomi dei genitori”, nell’ordine dagli stessi deciso, salvo diverso accordo, in mancanza del quale devono attribuirsi i cognomi di entrambi i genitori.

A cura dell’avv. Marina Marconato