Gillette in lacrime mentre cede le terre indigene agli Stati Uniti

Nel 1948, una macchina fotografica immortalò un istante che racchiudeva secoli di ingiustizia.
Un uomo in giacca e cravatta, in piedi davanti ai fotografi, scoppiò in lacrime mentre teneva in mano un documento.
Si chiamava George Gillette, leader delle tribù Mandan, Arikara e Hidatsa del fiume Missouri.
Quel foglio non era un semplice accordo: era la cessione forzata delle terre ancestrali del suo popolo al governo degli Stati Uniti.
Oltre 600 chilometri quadrati di case, scuole, chiese e campi fertili sarebbero stati sommersi dalle acque per la costruzione della diga di Garrison.
Gillette sapeva che, con quella firma, stava sancendo una tragedia. Ma se si fosse rifiutato, le tribù non avrebbero ricevuto alcun risarcimento.
Tra le lacrime, pronunciò parole che ancora oggi fanno tremare l’anima:
«Oggi firmiamo sotto protesta. Le nostre mani sono legate, ma i nostri cuori sono tristi.»
Quell’invaso sommerse interi villaggi, distrusse comunità e seppellì sotto l’acqua secoli di storia e spiritualità indigene.
La foto di Gillette, in lacrime davanti ai microfoni, divenne un simbolo di dignità e resistenza di fronte a una perdita inevitabile.
Ancora oggi, la sua immagine ci ricorda che la modernità, quando non rispetta la memoria, può anch’essa trasformarsi in una forma di distruzione.
George Gillette non pianse soltanto per la sua terra, ma per un intero popolo che, ancora una volta, vedeva arrivare il progresso sotto forma d’acqua… e di oblio.